New York e l’emigrazione italiana: una video-lezione di storia

Oggi ho fatto una videolezione che è riuscita un po’ meno noiosa del solito, una cosa strana per me che non sono un grande fan delle video-lezioni -ritenendo l’e-learning asincrono molto più efficace, in media. Ne vorrei quindi parlare.

Come prima cosa, ho introdotto brevemente l’argomento, l’emigrazione italiana di inizio ‘900 (già sinteticamente affrontata in precedenza), e ho detto ai miei studenti cosa dovevano fare, ovvero scrivere un breve testo spiegando come secondo loro si dovesse sentire un emigrato italiano sbarcando nella New York di inizio ‘900. Per poterlo scrivere ho chiesto loro di guardare, anche saltando di palo in frasca, questo rullo di riprese newyorkesi restaurate e colorizzate:

Il video è uno splendore ma dura 41 minuti e sarebbe stato impossibile vederlo tutto. L’ho caricato su Classroom e ho detto loro di guardarne qualche minuto “sparso”.

Ovviamente li ho anche indirizzati un po’ verbalmente, ma in ogni caso li ho lasciati a fare da sé per quattro o cinque minuti. Li ho avvertiti che il flusso più grosso di immigrati si era bloccato a partire dal 1925 ma che ai nostri fini quelle immagini degli anni ’30 andavano benissimo.

Una volta fatto questo, ho fatto vedere loro qualcosa di più narrativo: 4 minuti de “Il padrino, parte II”.

In aggiunta a questi materiali abbiamo ascoltato “Titanic” di De Gregori, tanto per non farci mancare niente. Anche qui, qualche indirizzo verbale per fargli appuntare l’attenzione su ciò che attenzione ci è voluto, ma sono anche stati abbastanza bravi da rievocare le scene salienti di “Titanic”, il film di Cameron.

A questo punto, la cornice emotiva per provare a rispondere alla domanda era sufficiente e ci si poteva mettere a scrivere, cosa che i ragazzi hanno fatto senza grosse difficoltà ma chiedendomi all’occorrenza qualche chiarimento. Durante la video-lezione i ragazzi non hanno completato il lavoro, ma di sicuro l’hanno impostato, in modo da poterlo finire da soli in un altro momento, così come avevo previsto. L’idea è che il lavoro li portasse a notare la stridente differenza tra il Paese che si avviava a diventare leader nel mondo e la povertà del sud (e non solo del sud) Italia, notando come anche nell’aspetto materiale una fiorente civiltà industriale fosse lontana mille miglia dalle realtà rurali descritte ad esempio da Verga.

Mentre i ragazzi lavoravano io condividevo il mio schermo con una galleria fotografica di Galata, il museo del mare di Genova, che ha una sezione dedicata all’emigrazione italiana davvero splendida (peccato solo che non ci sia -o io non sia riuscito a trovare- un tour virtuale con gli ambienti perfettamente ricostruiti dei dormitori di seconda e terza classe di un transatlantico). E la galleria che ho scelto di proiettare su Meet mentre loro scrivevano riguardava proprio Ellis Island, cosa che dopo Il padrino parte II cascava proprio a fagiolo.

Dopo aver menzionato brevemente Italy di Pascoli, gli ultimi momenti della lezione li ho utilizzati per rievocare e ripassare la Belle Époque, un altro argomento che abbiamo trattato quest’anno in storia (anche con questo serial tv). Era un collegamento ovvio, una volta che si fosse menzionato il Titanic.

Qual è stato il senso di questo lavoro? Non di approfondimento, ma di ripasso e “sedimentazione”. Non ho insegnato loro nulla di particolarmente nuovo o approfondito, ma spero di aver mostrato loro materiali sufficientemente d’impatto da creare loro dei ricordi solidi, che possano diventare parte del loro bagaglio culturale.

Ho cercato in altre parole di stimolare la creazione di ricordi che spero gli rimangano a lungo termine: una bella scena di un film, con anche soltanto un abbozzo di trama, può rimanere a lungo in testa, come anche le stupefacenti immagini di una New York scintillante e modernissima già negli anni ’30. Spero anche che tali ricordi diventino un appiglio mnemonico per diversi concetti importanti ma più astratti: fordismo, American way of life, Belle Époque, emigrazione, ma anche (en passant) fascismo, crisi del ’29 e questione meridionale.

Detto in termini tecnici, e sperando di non dire sfondoni, spero che questo lavoro possa contribuire a creare ricordi e apprendimenti che abbiano un alto valore di conservazione (concetti e informazioni che si ricordano a lungo) e anche un alto valore di recupero (concetti e informazioni che si richiamano facilmente alla mente). Per chi ama gli anglismi e per evitare che mie traduzioni improprie confondano le idee: spero che l’apprendimento di oggi abbia sia un’alta “retrieval strength” sia un’alta “storage strength” (qui una spiegazione).

Il lavoro però per essere efficace non può rimanere isolato. Si deve inserire in un contesto che possieda almeno due perni:

  1. Delle attività di riprese ulteriori, a distanza di tempo, dello stesso argomento (“distributed practice“)
  2. Un lavoro generale di “didattica variata” (interleaved practice“), in cui questo e altri argomenti si alternino in maniera tale da non farne dimenticare nessuno e anzi farli fissare tutti meglio nella memoria.

Non dispero che il lavoro, tempo permettendo, possa essere ripreso. Quando lo faremo, però, non faremo un semplice ripasso: a quel punto, fissati ormai i perni fondamentali della conoscenza generale dell’argomento e con i ricordi del video e dei film a farci da “guida”, aggiungeremo dati, nomi, ragionamenti, approfondimenti di piglio più accademico, e più impegnativo, in linea con l’idea di “curricolo a spirale” di Bruner (che io cito di seconda mano da Making Kids Cleverer di David Didau).

Ecco qua, ho finito.

Immagine: Berenice Abbott