Riflessioni su “Contro la pigra e ingiusta pretesa di dare voti a distanza”

Franco Lorenzoni fa delle interessanti considerazioni su Internazionale. Io ne approfitto per pettinare i miei pensieri

L’articolo di Lorenzoni è molto utile e interessante. Forse non lo sottoscrivo per intero, ma è un’ottima prospettiva sul fare scuola (come al solito). Se aggiungo qualcosa qua è anche soltanto per parlare della stessa cosa in termini ancora più terra terra.

1) Il voto numerico. E’ distorsivo in varie maniere, non solo alla primaria. Alla fine si riceve UN voto per ogni materia e, nel corso dell’anno, UN voto per ogni prova di valutazione (compito in classe, presentazione orale, ecc.). Il problema è che indicare con un semplice numero un lavoro complesso in cui entrano diversi elementi (capacità espressive, di calcolo, di proiezione, la memoria, la creatività -in qualunque senso la vogliamo definire) è complicato e finisce per non dir molto su quel che uno studente sa o non sa fare.

Un 8 che sia la somma di “memoria 7” e “elaborazione personale 1” è diverso da un 8 somma di “memoria 4, elaborazione personale 4”. E in ogni caso, stai sommando le mele con le pere, perché una cosa non può sostituire l’altra, mentre col voto unico si finisce a fare proprio questo. Nel sistema IBO ogni compito riceve un voto per ogni parametro e non si arriva ad una sintesi (tipo media): se il compito ha 4 parametri diversi, ci saranno 4 voti diversi. Stop. Già così è molto meglio.

Ma poi alla fine a che mi serve il voto numerico? Il fine della scuola è far imparare cose agli studenti, che siano nozioni o procedure o competenze. Io posso insegnare e comunicare come e cosa vada bene anche senza numeri, che invece, in sé per sé, non dicono nulla. Senza mettere numeri, e tutta l’algebra che ne consegue (medie, crediti scolastici, bla, bla, bla) io riporto l’attenzione sulla materia e su quello che insegno. E’ raro che uno studente mi dica “Vorrei lavorare di più su competenze espressive e date”, mentre mi chiede inevitabilmente:”Prof., la mia media è 5.54, lo avrò il 6?”. Peggio ancora, molti studenti, acchiappato il numero minimo di voti per avere un voto in pagella, spariscono: fanno assenze, si infiltrano nel muro, si muovono senza fare rumore e non intervengono più perché potrebbero fare un passo falso e rovinarsi la media. Addio apprendimento.

I voti numerici servono là dove bisogna stilare classifiche: nelle varie discipline atletiche che lo prevedono, in concorsi, in liste d’attese, ecc. A parte alla maturità (dove il problema è che l’esame è mal congegnato a dir poco), di classifiche non si sente alcun bisogno.

2) Bocciare o non bocciare?. Eh, promuovere tutti è un regalo! Beh, e su che base puoi dire, quest’anno, che è “colpa” dello studente se non ha imparato molto meno del necessario? Non puoi dirlo: sono tre mesi che la scuola è incastrata e molti non hanno potuto fare niente. Si boccia il 20% degli studenti che non hanno potuto seguire la dad? O quella buona metà degli studenti che con la dad hanno ottenuto risultati miracolosi in sé ma limitati rispetto ad un anno normale? E come si gestisce una cosa del genere? Non si gestisce: si accetta che il servizio d’istruzione di quest’anno è monco, si cerca di recuperare nell’anno venturo e buona fortuna.

In generale poi la bocciatura tombale non ha molto senso: vai male in matematica, inglese, biologia, ma ti ripeti anche italiano, chimica, geografia, filosofia e storia. Piuttosto sarà il caso di far ripetere soltanto le materie in cui uno va male.

3) L’apprendimento informale. La scuola funziona se gli studenti hanno voglia di imparare, anche e soprattutto le cose utili ma noiose a morte. Per fare questo, devi “tenere alto il morale”. Prevedere una serie di situazioni e degli apprendimenti più o meno informali serve ottimamente a questo scopo ed in ogni caso permette di imparare cose. Non ci si può illudere che il volontarismo studentesco o l’apprendimento informale prevalga su quello formalizzato (non succederà mai), ma prevedere spazio, tempo e un occhio benevolo su queste attività mi sembra soltanto giusto.

Ecco, questo è quanto…nient’altro che qualche considerazione sparsa, alla fine.