La lezione frontale dove non ti aspetti

Un caso esemplare di come gli interventi dei pedagogisti rischino di far gran danno nella scuola, anche quando hanno intenzioni eccellenti e ancor migliori idee.

Tempo fa, sul sito della Toscana, mi sono imbattuto in un progetto didattico piuttosto impegnativo: “Leggere: Forte!“.

E’ interessante: attraverso la lettura ad alta voce in classe di libri e romanzi, ci si propone di ottenere una serie di importanti benefici sulla capacità di attenzione, sullo sviluppo di abilità relazionali, sul pensiero critico ed altre cose essenziali per una buona scolarizzazione. L’idea non è campata per aria: c’è della solida ricerca scientifica a sostenere questa idea, e qui sono ben illustrati i riferimenti bibliografici, mentre una spiegazione articolata si può leggere qui.

Nelle intenzioni degli autori, la fase sperimentale di questo progetto dovrebbe durare, a partire da gennaio 2020, non meno di 50 giorni consecutivi, durante i quali la lettura ad alta voce, da effettuare in classe, diventa progressivamente più lunga -in tutti i cicli scolastici.

Ecco, io spero di non far mai parte di questo progetto. Sarà il caso di spiegare perché, e cosa c’entra la lezione frontale.

La prima ragione della mia ostilità verso questo progetto è che esso richiede un monte ore mostruoso. Considerando che il progetto prende un’ora* al giorno, ovvero sei ore a settimana, il progetto diventerà di gran lunga la prima materia insegnata nelle classi della sperimentazione per non meno di due mesi. Cosa succederà a chi dovrà concedere le ore a questo progetto? Che ne sarà della didattica di materie che spesso non hanno più di due ore a settimana a disposizione? Che effetti ci saranno sulle materie, come l’italiano, che anche se non obliterate, saranno comunque intaccate dal progetto?

La seconda ragione è che il progetto non parte con l’inizio dell’anno, ma da gennaio. Le scuole sono state avvisate ad anno scolastico iniziato: a novembre si stavano ancora cercando adesioni. Questo vuol dire che questo intervento sarà calato sull’alto dopo che gli insegnanti hanno programmato e cominciato a realizzare la loro didattica annuale. Bisognerà rivedere tutte le prove di valutazione, i laboratori, le lezioni, tutto.

I responsabili del progetto non sembrano essersi dati la pena di considerare tutti questi problemi o di chiedersi cosa verrà eliminato per far posto al progetto. Sembrano aver pensato che un intervento così imponente si potesse inserire agilmente, e per di più in corsa. Come si può arrivare a pensare che la scuola possa essere così flessibile da digerire tranquillamente una cosa del genere? E che fine fa l’autonomia scolastica?

Con questo arriviamo alla terza ragione e alla “lezione frontale dove non ti aspetti”. La mia personale impressione è che per questo progetto, che in sé non è nemmeno affatto male, ci si sia basati su una premessa implicita che in realtà è sottesa a quasi tutti i vari progetti che nella scuola italiana spezzano la didattica d’aula, quali l’alternanza scuola-lavoro, le autogestioni, le varie “educazioni” -civica, ambientale, sessuale, ecc.

Tale premessa implicita, peraltro assai poco nascosta, è che la didattica d’aula sia tutto sommato sacrificabile. E questo perché si presume che sia basata sulla lezione frontale. Nella lezione frontale il grosso del lavoro non è in classe, dove ci si limita ad ascoltare, ma a casa, con i compiti e lo studio dal libro. Se questi due pilastri non vengono intaccati, la lezione frontale può anche saltare senza troppi danni. Per due settimane di stage, per due mesi di lettura.

Peccato che questo sia lo schema che funziona nei licei “di tradizione”. In tutte le altre scuole i professori coscienziosi si ingegnano di far diversamente, perché la lezione frontale, che è uno strumento utile quando effettivamente serve, non riesce a venire incontro alle necessità di studenti che a casa non sono né autonomi né seguiti. Toglier loro 6 ore a settimana di didattica d’aula, al fine di fare una cosa utile e interessante ma estranea al lavoro del resto dell’anno, è letale.

Pur osteggiandola, anche i pedagogisti sembrano quindi aver introiettato l’idea che la lezione frontale è la pietra d’angolo della didattica. Essa non è soltanto nella didattica di una classe docente pigra, ma anche nella testa dei pedagogisti: dove non ti aspetti.

Il mio appello dunque è questo: se i pedagogisti pensano di sapere come è meglio insegnare nelle scuole italiane, sarà il caso che ci vengano a lavorare, e che le buone pratiche didattiche comincino ad essere sviluppate dove davvero si possono elaborare: in classe. Con insegnanti capaci di progettazioni adeguate in virtù di una esperienza e di una preparazione che li qualificherebbe come senior, progetti anche complessi si potrebbero sviluppare armonicamente, e senza far danno alla didattica.

Non bussando alle porte della scuola dicendo ai professori di togliersi dai piedi. Grazie.


*In realtà il progetto prevede che si cominci da pochi minuti di lettura per arrivare ad un’ora completa. Chi ha esperienza di classe però sa che pochi minuti non sono mai pochi minuti, soprattutto se si tratta di un’attività diversa dal solito. Anche questo è un effetto della lezione frontale implicita: le spiegazioni frontali si possono accorciare e sintetizzare, si possono saltare parti o farle a tirar via senza problemi, tanto poi c’è lo studio a casa, ed in ogni caso spiegazione e libro di testo vanno di pari passo. In attività articolate (laboratoriali, di gruppo, o pratiche) la cosa non funziona così: l’ora serve tutta, e se il lavoro rimane a metà, perde di senso.