L’interrogazione in DAD

L’interrogazione è uno dei capisaldi della didattica della scuola italiana. Io non la sopporto ed evito il più possibile di farne. E’ sbagliata, inaffidabile, umorale, incostante e improvvisata, checché se ne dica. Peggio ancora, è improduttiva. In DAD poi è una tragedia. In questo post vorrei spiegare dettagliatamente cosa non mi piace dell’interrogazione in presenza, indicare brevemente quali problemi aggiunge, almeno secondo me, la dad e poi passare ad una conclusione dubitativa. E’ tanta roba, avverto di già. Applicabile soprattutto alle materie discorsive, ma credo non solo a loro.

La routine la conosciamo tutti: il prof. consulta il registro, chiama delle persone, sottopone loro delle domande in sequenza e poi mette un voto, se va di lusso dando qualche spiegazione della propria valutazione.

Si dirà: “Embé? Che c’è di strano?” Un sacco di roba, c’è di strano.

Il primo problema è il tempo. Tutti gli studenti sanno che per un “giro di interrogazioni” se ne possono andare giorni interi, soprattutto in classi grandi. In prossimità di scrutini e pagellini si può distintamente sentire il motore della didattica che si spegne mentre sulle classi cala una coltre di noia. Gli sfigati di turno si predispongono alla prova, gli altri si afflosciano sul banco come sacchetti di mercurio quando va bene, sennò se ne vanno a spasso per la scuola, fanno altro o, ed è forse la meglio, si preparano per l’interrogazione dell’ora successiva.

Questa cosa va avanti per giorni e giorni, fino a quando i “giri di interrogazione” non sono esauriti e allora il docente può andare avanti col programma, con il plus che nel frattempo ha scoperto di essere in ritardo (in generale perché le interrogazioni durano sempre più del previsto o perché salta fuori che un bel pezzo di classe non aveva capito niente, o si era completamente scordata, di argomenti di due mesi prima, che vanno ripresi).

Gli studenti amano tutto questo, perché al prezzo di qualche compagno che soffre (o peggio ambisce a farsi mettere un bel voto), la loro vita si alleggerisce di parecchio: “Vabbè, domani c’è chimica, ma c’ho già due voti, media del 6.7 che passa a 7, a posto così”.

La sofferenza individuale è poi anche diminuita dal fatto che le interrogazioni spesso sono programmate. Uno si può fare un bello schemino di quali materie può trascurare e concentrarsi sulla materia del giorno, studiando tutto il giorno prima, altro trionfo della didattica efficace. PARENTESI: ripetere agli studenti che bisogna studiare “sempre”, “di volta in volta”, “con regolarità” non è una soluzione, perché i comportamenti non si modificano con le prediche, se poi quello che fate va nella direzione opposta. Chiusa parentesi.

Veniamo all’interrogazione vera e propria. L’interrogazione in realtà spesso comincia con l’abitudine vetero-sindacale in cui si contratta la “ripetizione”: un docente vorrebbe farsi ripetere tutto il programma dell’anno, gli studenti soltanto la lezione del giorno prima. Per quanto rigido ed inflessibile possa essere un insegnante, quando si imposta la questione in questi termini, la contrattazione è inevitabile, esplicita o implicita. E’ un teatrino pirandelliano in cui ognuno fa i propri giochini. AVVERTENZA: “A chi è tentato di dire “Ma io…” suggerisco di fare attenzione agli squarci nel cielo di carta.

E’ chiaro che il prof. vuole inserire nella ripetizione tutto quello che organicamente costituisce un’insieme coerente di saperi, ma agli studenti non interessa: non sono concentrati sul proprium della materia, bensì sul peso dello studio. Gli argomenti di studio sono come allegati di una mail: l’importante è che non vadano oltre un certo numero di megabyte, a prescindere dal contenuto. Ma tralasciamo questo dettaglio che pure fa già capire che la didattica ha perso completamente di senso per ridursi a fatica meccanica, e andiamo avanti.

Al momento dell’interrogazione (che alcuni ancora fanno alla cattedra, assicurandosi così che il resto della classe sia tenuto ben lontano da quello che sta facendo il professore) le persone vengono chiamate a rispondere alle domande.

Quali domande? Beh, le prime sono le più coerenti con l’argomento di studio, le più “ovvie”, poi mano mano che si va avanti il docente deve andare a recuperare quel che ancora non è stato menzionato. Essere l’ultimo ad essere interrogato diventa così una tragedia. Se i compagni hanno già risposto loro a quasi tutto, che si inventerà il docente per farmi delle domande nuove? Questo sarebbe già un elemento sufficiente per mandare in vacca le interrogazioni e la loro pretesa “oggettività”, ma proseguiamo.

Chi è interrogato per primo tira fuori tutto quello che sa. Quelli interrogati per ultimi, invece, se non sono imbecilli, costruiscono su quello che hanno detto i compagni prima di loro. Avevano studiato o hanno orecchiato bene quel che hanno detto prima i compagni (e spesso anche il professore stesso a mo’ di integrazione o correzione delle risposte date)?

Non lo saprai mai, docente. Ma non saprai di non saperlo. Penserai di saperlo perché prenderai per buone le impressioni che ti farai lì per lì.

E questa delle impressioni è la spina dorsale della valutazione. Valuterai bene quel che ti sembra corretto e ben espresso (e favorirai chi sa impestare qualche discorso a prescindere), mentre valuterai male chi fa errori, è incerto, è lento. Ma tu lo sai perché una persona è lenta a rispondere? Perché non sa le cose o è riflessiva? Un lapsus è un lapsus o è una mancanza di studio? Il silenzio è dovuto a ignoranza o timidezza? Quanto pesa nell’ansia di uno studente l’atteggiamento imbecille dei compagni che smaniano per rispondere? Quanto pesano le condizioni ambientali (stanchezza dell’ultima ora, confusione di classe, interruzioni varie, ecc.)? Se pensate di avere una risposta certa, tanto certa da mettere un voto, siete affetti da una forma grave di sindrome di Dunning-Kruger (googlatevela).

Ma ignoriamo anche questo problema, come abbiamo fatto con la perdita di tempo, la morte della didattica, la mediocre articolazione delle domande, ecc. ecc. e chiediamoci un’ultima cosa: quante domande si possono fare ad un interrogazione? Non è un dettaglio. Perché se ne facciamo una ventina su dieci o dodici argomenti diversi, è chiaro che possiamo “coprire” un bel pezzo del “programma”. Se ne facciamo quattro o cinque su uno due argomenti, allora è assai probabile che allora il voto rispecchi semplicemente la fortuna del candidato che si è sentito fare domande sugli argomenti che sapeva e non su quelli che non sapeva. Peggio ancora, se insistiamo, come spesso facciamo per “aiutare” con diverse domande mirate su un argomento che lo studente non sa invece di passare ad altro, che immagine, e che voto, verrà fuori dall’interrogazione? Un disastro.

La cosa bella è che di tutto questo ragionamento, quand’anche qualcuno lo trovi convincente, rischia di non rimanere nulla di fronte alla pulizia e limpidezza di un’interrogazione che sembra avere tutti i crismi della validità. Le immagini che gli occhi e l’abitudine ci restituiscono sembrano essere più forti di qualsiasi ragionamento, e scusate il pessimismo.

Cosa fare allora per ovviare a tutto questo (sto ancora parlando di quel pallido ricordo che è la didattica in presenza)? E’ semplice: prove scritte. Nelle prove scritte le domande sono numerose, ben calibrate e uguali per tutti (o al massimo “divise per file, toh). Gli studenti, tutti, hanno tempo per riflettere sulle loro risposte, per rivederle, correggerle, limarle. La correzione avviene a casa del docente ed è anch’essa più ponderata, lenta, riflessiva. Si possono confrontare prove diverse rivedere le stesse prove in momenti diversi, confrontandole con i materiali di studio. La restituzione offre la possibilità di guardare insieme, docente e studente, risposte oggettivamente bloccate sul foglio di carta, e anche a distanza di tempo. E ci sono due bonus: si eliminano i tempi morti e, fissata la data della prova, in classe si può impostare la preparazione di tutta la classe, tutti insieme.

Ma non funzionerà manco questo. Perché? Perché è faticoso per il docente. Non solo devi correggere a casa, ma devi anche rinunciare alla parte più riposante della didattica tradizionale, che è proprio l’interrogazione stessa: non ti devi preparare nulla prima, devi solo ascoltare durante, non hai nulla da fare dopo.

Eh, ma lo so già cosa si dirà: “Ma l’esposizione orale è importante!”. Sì, grazie, me l’hanno detto tante volte. In effetti nell’interrogazione si parla e bisogna organizzarsi i discorsi, ed è importante. Benissimo. Però non sta scritto da nessuna parte che bisogna farlo con le interrogazioni. Ci sono i dibattiti, le relazioni, i riassunti di quanto appena letto o visto, la narrazione orale, chissà che altro. Non nascondiamoci dietro questo ditino, anche se per alcuni è un ditino bello grasso: dopo una vita passata prima a dare interrogazione che, in media, andavano bene (non sono i pluribocciati a voler diventare insegnanti, di solito, ma quelli che a scuola non ci stavano poi male) e poi a farne altre inzeppate di confirmation bias, l’illusione che l’interrogazione sia la Strada Maestra è forte.

Per la didattica in presenza abbiamo detto anche troppo. Veniamo a quella in dad. L’interrogazione in dad soffre di TUTTI i problemi precedenti più il fatto che via schermo le difficoltà di comunicazioni sono moltiplicate, e non sappiamo se gli studenti imbrogliano. Alcuni docenti hanno la pretesa di poter controllare gli studenti (anche durante prove scritte, peraltro) imponendo loro di tenere la telecamera accesa, mostrare anche la scrivania o scemenze del genere. Ecco, ad un docente del genere, che si culla nell’illusione di aver fatto qualcosa di concreto crendendo che idee del genere funzionino, preferisco quello che accetta il rischio di essere imbrogliato: è più onesto e meno oppressivo.

L’interrogazione è una perdita secca, l’interrogazione in dad è una perdita esponenziale.

Ma allora cos’è che voglio salvaguardare? Dell’interrogazione mi piace una cosa sola, che però in presenza può essere sostituita con maggiore efficacia dalla prova scritta: impone di ricordare le cose a memoria. E’ nozionistica, e le nozioni, qualunque cosa vi abbiano altrimenti raccontato, servono. Potrete magari trovare un erudito aridamente pieno di nozioni che non si perita di mettere in discussione, ma non troverete mai una persona colta a digiuno di nozioni. Le nozioni sono la materia prima del pensiero. Niente nozioni, niente pensiero.

Nella dad l’aspetto dell’apprendimento mnemonico è quello soffre di più. I lavori in stile MOOC sono molto utili per manipolare, riprendere, approfondire, “vivere” quel che si sta imparando, ma l’apprendimento mnemonico, per quel che posso saperne, richiede un esercizio specifico in cui uno, ad un certo punto, molla tutti i materiali, appunti inclusi, e fruga nella propria mente per vedere cosa ci è rimasto.

Ribadisco, tutto questo si può fare alla grande con le “interrogazioni scritte”, ma in dad i lavori scritti in cui agli studenti sia chiesto volontariamente di non guardare appunti e bignami mi sembrano…velleitari. Troppo facile e troppo tentatore sbirciare.

Come si fa, allora? Forse con le flashcards e quiz via video, con app come Kahoot. Le risposte che si danno così sono meno influenzate da elementi esterni e sono abbastanza rapide da non permettere di sbirciare altrove. Però mi sembrano un po’ povera cosa. E quindi devo ammettere questa cosa: sul punto sono in difficoltà. Ci devo pensare e sono decisamente aperto a suggerimenti.

Immagine: Dennis Crowley

2 Risposte a “L’interrogazione in DAD”

  1. Grazie della riflessione. Concordo. Sono docente di lingue straniere alla scuola media. Anch’io, dopo anni di interrogazioni, da qualche anno le ho abolite per valutare invece la partecipazione, la correttezza negli interventi, la propositività etc. dimostrate durante le varie fasi delle lezioni (correzione dei compiti, trattazione di nuovi contenuti…). Ho visitato in Erasmus delle scuole finlandesi dove non sanno cosa siano le interrogazioni (per la verità non valutano proprio, ma è la società stessa che è diversa, non credo che la loro didattica sarebbe esportabile).
    Abolire le interrogazioni è stata una liberazione. Valuto invece le prove scritte in modo più tradizionale. Ritrovavo tutte le problematiche che hai descritto, soprattutto la mia difficoltà maggiore era la consapevolezza di non essere obiettivo nel giudizio dato su due piedi. Avevo provato a dare il giudizio la lezione successiva e prendermi tempo per pensare, ma non aveva funzionato.
    Certo, è difficile spiegare agli alunni e alle famiglie questa scelta, talmente è radicata in loro l’idea: ore di lezione = spiegazioni + interrogazioni, rigorosamente distinte, ma se si chiarisce bene come si valuta, poi le cose iniziano a funzionare.
    Predispongo delle griglie basandomi sulle competenze chiave europee, declinate per le lingue straniere, quindi con un fondo di oggettività, ma mi manca il confronto con altri docenti e rimane sempre il dubbio di ridurmi a un fai-da-te.
    Appoggio decisamente la valutazione per competenze, osteggiata invece da molti colleghi perché obbliga a ripensare schemi e rituali ormai stratificati da anni.
    Mi piacerebbe trovare in rete degli spazi per condividere idee, griglie di valutazione per competenze o comunque basate su una didattica che abolisce appunto le interrogazioni tradizionali, anche per avere delle basi con cui comunicare a famiglie, alunni e colleghi l’idea che l’abolizione delle interrogazioni non è una scelta creativa di un singolo docente.
    Grazie, cordiali saluti.

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